Terminologie dei Fratelli della Costa

Zafarrancho

ZAFAR = Adornare, abbellire, liberare rimuovendo qualsiasi ostacolo.

ZAFARRANCHO= Azione a cui partecipa tutto l’equipaggio tendente a liberare la coperta di tutte le vettovaglie residuali del pasto onde lasciare la barca pulita e libera da tutto ciò che può ostacolarne l’ordine.Predisposizione della barca per la navigazione e preparazione delle munizioni per un possibile combattimento.

Acción y resultado de desocupar y preparar una parte de la embarcación para que pueda realizarse determinada actividad: el capitán ordenó zafarrancho de combate

In termini moderni vuol significare il desinare con la partecipazione di tutti i Fratelli, la pulizia a fondo di tutta la barca (Tavola) e la discussione di tutti gli argomenti concernenti la vita della Fratellanza e la preparazione (progetti) per le future navigazioni nonché la predisposizione degli armamenti (statuto e normativa regolamentare) per opporsi convenientemente ai nemici.

Cautiva

Moglie o compagna di un Fratello.

I Fratelli della Costa ammirano e rispettano le proprie cautivas perchè sono loro che ingentiliscono con la loro presenza gli Zafarranchos.
Il termine “schiava” (in spagnolo esclavas) deve essere pertanto usato in maniera gentile e simpatica verso il gentil sesso che ci accompagna.
Le donne nella Fratellanza italiana sono ammesse solo se skipper di yacht.

Pirata

La parola pirata deriva dal greco e il suo significato è “colui che intraprende”, “colui che cerca fortuna”. I pirati erano ladroni del mare che operavano a margine di tutte le leggi. I loro fini non erano politici, essi operavano esclusivamente per sé stessi e non servivano sotto nessuna bandiera che non fosse quella pirata. Molti corsari si convertirono in pirati durante il periodo nel quale Spagna e Inghilterra firmarono la pace. I principali bersagli degli attacchi pirateschi erano le navi e i possedimenti coloniali di bandiera spagnola o portoghese. E’ logico che fosse così dal momento che questi due paesi dominavano i commerci fra l’Europa e il Nuovo Mondo. Le loro navi cariche dell’oro e dell’argento delle Indie erano un boccone succulento per i pirati. Comunque nessuna bandiera si poteva sentire al sicuro da questi cani selvaggi del mare. I re europei tentarono di lottare contro i pirati noleggiando navi ben armate ed equipaggi. Ironicamente, ogni qual volta si dava a un capitano il comando di una nave ben rifornita, era come se lo si invitasse a mettersi per suo conto e, perché no, a convertirsi in quello contro al quale si pretendeva che lottasse.

Corsaro

Una nave corsara era quella che navigava agli ordini di un re e compiva “azioni di guerra” contro gli interessi di un paese nemico (normalmente si trattava di indebolire il suo potere commerciale e coloniale). I corsari avevano un documento che autorizzava la nave a portare avanti queste azioni. I detti documenti avevano il nome di “Lettera di marca” o “Patente di corsa”. I limiti che prevedevano questi documenti erano molto ambigui e normalmente erano i capitani corsari e gli equipaggi che decidevano cosa si potesse fare e cosa no. Le Patenti di Corsa erano consegnate da un re anche se in pratica spesso veniva delegato un Governatore. In tempi di guerra si poteva anche arrivare all’estremo di organizzare delle spedizioni corsare contro gli interessi di una potenza nemica. Quando questo succedeva i capitani e gli equipaggi delle navi corsare erano obbligati a consegnare tutto il bottino tranne una piccola parte (che poteva essere un quinto o poco più). Quando le navi corsare non facevano parte di una missione della Corona erano solite attaccare qualunque nave la cui bandiera non fosse la stessa comportandosi come pirati pur conservando i diritti di navigare in corsa. Il bottino che conseguivano in questo modo era loro proprietà anche se erano obbligati a consegnarne una parte al Governatore coloniale che li proteggeva. Le navi corsare potevano considerare come porti sicuri quelli che appartenevano al paese sotto la cui bandiera erano in corsa godendo altresì della sua protezione. I corsari non potevano essere arrestati per aver praticato la pirateria perché godevano di un “permesso” (la Patente di Corsa) rilasciato dalla Corona. Evidentemente un corsaro fatto prigioniero dal nemico non poteva confidare molto su questo punto in quanto era abitudine sopprimere i corsari nemici.

Filibustiere

Siccome nella Tortuga non c’era cacciagione i bucanieri si trovarono davanti al problema della sopravvivenza:o andare in canoa a La Española per cacciare o dedicarsi alla pirateria. Quelli che scelsero quest’ultima soluzione vennero chiamati “filibusteros”. La parola filibustiere proviene dall’olandese “Vrij Buiter” (“colui che va alla caccia del bottino”, in inglese “freebooter”). Dopo la dura lezione che avevano ricevuto per la loro arroganza a La Española i Filibustieri capirono che era imperativo riunirsi per far fronte alle possibili contingenze. Abituati a vivere in assoluta indipendenza non permisero di subire comandi, leggi o codici. Nacque così “La Cofradìa de los Hermanos de la Costa”. I filibustieri attaccavano navi di qualsiasi nazionalità anche se il più delle volte erano spagnole. Utilizzavano principalmente piccole imbarcazioni molto leggere e manovrabili e frequentemente erano finanziati e protetti segretamente da potenze europee con interesse di indebolire i commerci del nemico. Si concentrarono maggiormente nel danneggiare il commercio fra le colonie e si contano autentiche prodezze di navi filibustiere con scarso armamento e poco equipaggio che attaccarono galeoni carichi d’oro con una potenza di fuoco da far rabbrividire.

Bucaniere

Con questo termine si cominciò a conoscere certi coloni francesi che si erano stabiliti nella parte occidentale de La Española (l’attuale Haiti). Ricevevano il nome di “bucaneros” dalla parola indiana “bucan” con la quale gli indigeni indicavano il luogo dove arrostivano le carni bruciando legna verde sotto un palo a forma di griglia che chiamavano “barbacoa”. In quella parte disabitata dell’isola (la parte orientale era occupata dagli spagnoli) si erano riprodotti in maniera straordinaria tori e vacche e i bucanieri si dedicarono alla loro caccia per vendere le pelli e la carne arrostita alle navi che sapevano apprezzarne il sapore e la conservabilità. I bucanieri vivevano nella più selvaggia libertà; nessuno li comandava nè riconoscevano alcuna autorità. Tutto ciò attrasse ogni tipo di gente: condannati, proscritti, fuggitivi, schiavi, indios ribelli, disertori, perseguitati per la religione, ecc. Il numero dei bucanieri fu in aumento e nel 1620 cominciarono a essere perseguitati dagli spagnoli. Decisero perciò di arrischiare delle piccole scorrerie marittime e presero come base delle operazioni l’isolotto de La Tortuga vicino a La Española. L’assunzione dell’incarico di Le Vasseur come Governatore dell’isola e la presa di coscienza della sua reale importanza li portò ad associarsi alla celebre “Hermandad de la Costa” o “Confederazione dei Fratelli della Costa” che aveva dato origine ai filibustieri.

Engagé

Parola francese che significa “arruolato”. Un engagé era un uomo libero che firmava un contratto per tre anni che lo obbligava a lavorare come servo per un altro in condizioni simili alla schiavitù. Succedeva che durante i primi due anni di contratto le sue condizioni di lavoro fossero buone, però frequentemente erano soggetti a un durissimo trattamento durante l’ultimo periodo di compromesso obbligandoli a scegliersi un nuovo contratto per migliorare la propria condizione.

Macchia Nera (o Bollo Nero)

Antico segno d’infamia impresso a schiavi e a condannati; marchio. Già nel ‘400 “cavaliere senza macchia e senza paura” era detto del signore di Bayard, il Baiardo (ch.to Pierre Terrail: 1476-1524). La frase è passata poi a significare genericamente persona integra e d’animo intrepido, anche con lieve intonazione scherzosa.

Nella pirateria caraibica la “macchia nera” era data, su consenso  di ogni membro dell’equipaggio – a partire dal Capitano – al pirata che aveva disobbedito, tradito o che non poteva più continuare a mantenere il ruolo precedentemente assunto.  Era un avvertimento che poteva contenere anche l’indicazione della durata del tempo che veniva concesso, al trasgressore, per venire a patti o cercare una riparazione allo sgarro compiuto.

Nell’attuale Fratellanza della Costa pare si faccia arrivare la voce di rischio di macchia (o bollo) nera al Fratello che non si fa vedere in Tavola per lungo tempo, senza messaggi giustificativi allo Scriba se non al Lgt. stesso.

Può essere che il Fratello che ha ricevuto la macchia nera non possa reimbarcarsi, in futuro, in Tavola (di appartenenza o altra) senza la decisione della Tavola “bollante”.

Diversamente un Fratello che non abbia ricevuto il “bollo” e sia rimasto “lontano”, può essere reimbarcato, più avanti, con il motivo di essere stato naufrago, recuperato in mare. Potrebbe mantenere il numero di bitacora. Al giorno d’oggi non si infierisce sui Fratello con questo avvertimento. Il perdersi dell’uso di questa forma di sanzione ha portato, fra le altre cose, a prolungare il periodo di Aspirantato proprio come la società civile per i propri adolescenti.

Lettera di Corsa

Termine poco definito nella letteratura contemporanea ma usato anche nella Fratellanza Italiana con intento di invitare in mare i Fratelli ad un appuntamento – discreto e privilegiato – per scambiarsi informazioni, stare e divertirsi insieme, con alimenti e polvere assicurati e con le indicazioni organizzative del Fratello inviante la “lettera di corsa”.
L’origine sembra ritrovarsi nel “passaparola” tra i bucanieri – finchè vissero in Hispaniola – di avviare la caccia in gruppi bene armati e affiatati dal forte senso di amicizia, libertà ed eguaglianza.
Rifugiatisi in seguito alla Tortuga vi trasferirono i loro modi di vita comunitaria decisamente democratica. La Fratellanza del I° periodo (1630-1664) era caratterizzata da scorrerie e arrembaggi fatti dapprima con canoe e piccole imbarcazioni, poi con velieri conquistati o fatti costruire.
La “chiamata” arrivava nelle taverne e al porto con l’indicazione del luogo e del giorno d’imbarco. Comandava la spedizione il più abile di loro, scelto anche sul momento. Finita l’azione e spartito equamente il bottino ognuno tornava padrone di se stesso.
Il periodo successivo (1664-1713: pace di Utrecht) è caratterizzato da grandi Capitani con a disposizione vascelli ben armati se non di vere flotte. Molti erano i covi, anche se Tortuga (per i francofoni) e Port Royal (per gli anglofoni) erano gli ancoraggi preferiti. Il capitano o l’ “ammiraglio” spargeva la voce ai 4 venti dei 7 mari (bastavano un paio di taverne e lupanari) che si preparava ad operare “per conto proprio” indicando il luogo della riunione (c’è un’isola con questo nome). Per lo più era l’Isola delle vacche, a mezza via tra Tortuga e Port Royal. L’adesione dei legni e degli equipaggi era assolutamente volontaria.
Dunque si invitavano i disponibili ad un raduno “di corsa”.
Oggi pare corretto inviare una “lettera di corsa” per festeggiare una conquista, una ricorrenza o per star bene con altri Fratelli in un bell’ancoraggio od ormeggio senza criteri di ufficialità se non quelli della Fratellanza: Ottalogo, golpes de canons, conclami corti e salami lunghi…!
Non risulta che la “lettera di corsa” sia mai stata inviata per compiere vendette o infliggere supplizi.
E’ inviabile con il telefono cellulare (satellitare ?!) o l’e-mail che hanno alleggerito la fatica di stenderla con le passate forme “auliche” che, tuttavia, non cessano di piacere.
La “lettera di corsa” consente di trovarsi in acqua: sembrerebbe selettiva in quanto invitati sono i Fratelli che hanno il loro “barco” in ordine, pronto. Per gli altri è cercare imbarco o essere invitati.
La “lettera di corsa” è riconoscibile nelle forme di convocazione:

all Consiglio Grande e Generale e di Quadrato;
allo Zaf. di Tavola , Intertavole, Scorrerie e Arrembate;
al Raduno della flotta italiana nel mare orientale od occidentale;
all’incontro di barche per il solstizio d’estate;
per Regate e Trofei;
per Zaf. o Boucan Nazionali;
per gli incontri con Fratelli di altre Nazioni.

Concludendo si può sostenere che la “lettera di corsa” possa essere utilizzata da ogni Fratello permettendo così ulteriori espressioni di opportunità marinare e nautiche di affinamento ed integrazione nella Fratellanza.

TAGLIA

Il termine è usato al femminile.
L’origine, storicamente, è al maschile: TAGLIO

designa la quantità di tessuto occorrente per la confezione di un abito o d’altro indumento;
in nautica è usato per “taglio delle vele”, che riguarda sia la forma che il modo in cui si cuciono insieme i ferzi per ottenere la forma voluta;
“vele di taglio” sono quelle che vengono a trovarsi sul piano longitudinale della nave.

Per TAGLIA si intende:

un’imposta messa, per lo più, con criteri individualistici;
la contribuzione di uomini o di danaro dovuta da ciascuno dei confederati d’una lega per fornire o mantenere un corpo d’armata o comune utilità e difesa (es.: i doblones che, come Fra’ e Asp., versiamo annualmente alla Scrivaneria Maggiore);
il prezzo di riscatto richiesto dai vincitori ai prigionieri di guerra per la loro liberazione;
la ricompensa in denaro, promessa dall’autorità pubblica o da un privato, a chi scopra, catturi o faccia catturare l’autore di un delitto (mettere la taglia; raddoppiare la t.; avere sul capo una grossa t.);
(etimo incerto) un tipo di grosso paranco costituito da due bozzelli a più carrucole; si usava nelle più importanti manovre di forza e veniva chiamato “apparecchio”.

Riferimenti storici: “Con l’arrivo dei Genovesi sul Mar Nero, dopo il 1261 e la riconquista di Costantinopoli dell’imperatore bizantino, un mondo nuovo si aprì davanti a loro: la Romania genovese ( dal XII° all’inizio del XV° sec.). Essi fissarono sulle rive della Crimea (meta di uno Zaf di primavera della Fratellanza Italiana con la crociera del 2004) e più ad est, una catena di scali commerciali dipendenti dalla città di Caffa, centro di una colonizzazione della popolazione venuta dai borghi e dalle città della costa ligure.
Coi Veneziani i Genovesi frequentavano anche , ai confini del Mar d’Azov, lo scalo de La Tana, per la fiera del pesce e come porto della tratta degli schiavi.
Più avventurosi, alcuni Genovesi, si ritirarono sulle coste del Caucaso in castelli fortificati, agli sbocchi dei fiumi sul mare: coste che offrivano legname per le navi e i loro alberi e legno per archi ma, ancor più, coste in cui era possibile trovare degli schiavi… comperati sui mercati dell’entroterra…designati tutti con esattezza rispetto alla loro origine.
I Genovesi portavano i loro prodotti senza che si trattasse mai per mezzo della moneta e le transazioni si risolvevano in una sorta di baratto in cui l’unità di riferimento era il pezzo di tela – come sarà poi in Africa ! – e il valore di ogni uomo e di ogni donna si stimava in un certo numero di pezzi o tagli”.